Fabrizia Buzio Negri

Fabrizia Buzio Negri

Martina Goetze, nata ad Amburgo, si muove in assoluta libertà creativa sperimentando in prevalenza la tecnica del collage, tecnica entrata nell’arte in maniera rivoluzionaria nel XX secolo. Trasferitasi in Italia dopo un soggiorno in Sudamerica, l’artista rimane affascinata dalle vibrazioni dell’atmosfera che rinnova intensamente dentro le sue opere, La frequentazione dell’atelier di Wolfgang Krenckel e la Scuola del Nudo di Brera inducono una propria caratterizzazione stilistica in cui compare spesso la figura femminile, compenetrata di sensualità ed ironia in originali volumi attraverso il collage, tra razionalità ed emozione. Impasto tra pensiero e gesto, l’aspirazione alla tridimensionalità avviene con elementi di carta da giornale e di recupero, materiali che racchiudono ed evocano storie vissute. Carne ed anima, che il collage trasfigura in energia pura. Forme tra l’astratto e l’archetipo femminile vivono nel acrilico alternato con la tempera grassa, l’ acquarello e l’olio in dinamismi particolari, nati anche dal colore che si forma colando sul bianco mosso della tela. Intendono, come dice Martina stessa “ risvegliare il sorriso interiore e far sì che la nostra prima energia si liberi sulla via dell’Anima Universale”. Fabrizia Buzio Negri

ROSARIO PINTO ( "FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE")

Rosario Pinto “…Non mancheremo di sottolineare anche ciò che vorremmo definire come “premura cromatica”, che è data dalla sensibilità lunimistica con la quale il dispiegamento del colore si intride di guizzi di ispessimento materico, acquistando, così, il pigmento ancora più forza e più convincente spessore. Con queste connotazioni possiamo presentare l’attività creativa di Martina Goetze Vinci, pittrice di origine tedesca, che porta con sé la disponibilità ancestrale, vorremmo dire, alla disposizione espressionistica, sapendo, peraltro rendere all’interno di tale specifica vocazione d’indirizzo, una deliberazione del tutto personale delle cadenze produttive, fino a far convergere il tratto di una disposizione più ampiamente categoriale con le resultanze specifiche dell’attività sua propria creativa. In un suo lavoro dal titolo intrigante Sete, un collage e tecnica mista su tela, la nostra artista mostra di essere in sintonia con gli ottenimenti di quella pittura tedesca che ha saputo rendere del dettato ‘categorialmente’ espressionistico una compitazione di schietta marca postmoderna, attraverso l’opera, ad esempio, dei cosìdetti ‘Neuen Wilden’, come ad esempio, Markus Lüpertz e A.R. Penck, in relazione, per altro, con le espressioniproprie della ‘Transavanguardia italiana’ e certamente non lontani dall’esperienza propria di personalità come quelle di Gerard Richter, Anselm Kiefer, Georg Baselitz. A dire il vero, tali prammatiche conservano costante un’irrinunciata impermanenza figurativa che sostituisce, al di là delle deformazioni degli oggetti e delle figure, una sorta di bisogno d’ancoraggio alla datità epifenomenica e fors’anche propriamente esistenziale delle cose. Non sempre, invece, in Martina Goetze Vinci questa istanza figurativa appare coem irrinunciabile bisogno e, talvolta, la pittrice mostra di voler indulgere la verificare le opportunità che può offrire la materia a lasciar trasparire un suggerimento preterintenzionale di forma, nel momento in cui ogni referenza oggettuale viene rinunciata in premio di una prospettiva trionfante di mero abbandono materico. In tale prospettiva, metteremo, allora a confronto con il sopraindicato collage di Sete un altro collage, Origine, che si dispone come accezione propositiva di un assunto schiettamente rinunciatario d’ogni debito d’allusione figurativa, lasciando che la pura consistenza materiale del pigmento si costituisca, secondo un gradiente che oscilla tra “Espressionismo astratto” e le peculiarità propriamente ‘informali’. La forza dell’arte consiste nel saper dare una risposta, sempre e comunque. Una risposta che, talvolta, può anche apparire ed essere preterintenzionale, ma che è sempre oggettivante, dal momento che ciò che la pittura propone al fruitore non è la semplice restituizione di una immagine delle cose, ma l’occasione della loro rivelazione. Dal volume “Fra Tradizione e Innovazione” Movimenti ed idee dell’arte contemporanea dall’Impressionismo al Duemila, ed. Napoli Nostra, 2018


Stefano Lurati

stefano lurati

In un’ opera – Speranza – che è tutta luce, l’artista celebra l’opera dei Frank come un sole che sorge portando vita nuova all’umanità sofferente. Due mani che sorreggono, che mostano, che ostendono un delicato e morbido feto, salutato da un’esplosione di colori su uno sfondo luminoso. La speranza è quella del malato verso l’atesa guarigione, è quella dell’umanità verso i progressi della scienza medica, è quella della vita che si rinova, è quella di un’ergia infinita che trascende i mondi visibili e che tutto pervade. E non è tutto questo una mirabile sintesi della missione e del lascito di Giovanni Pietro e Giuseppe Franck? Il tutto soffuso – nell’opera propostaci- da un pervaso sentimento d’amore. Stefano Lurati ( dal catalogo Medicamenta Et Curae, omaggio a Johann Peter e Joseph Franck , Pavia)

Enzo Le Pera

enzo le pera

Negli ultimi tempi mi sembra che la figurazione sia ritornata ad una ribalta sempre maggiore, ponendosi più interessante rispetto all’astrazione; ed anche molti degli artisti che ho invitato rispecchiano questa tendenza. “Kiss me, Canova”, omaggio al grande scultore e ad Eros che abbraccia Psiche. L’ artista desidera celebrare così la joie de vivre combinando sulla tela ricerche astratto – informali con ricerche in ambito figurativo, con un uso parco del colore per dare luce e leggerezza al dipinto. Enzo Le Pera ( dal catalogo XLVI Premio Sulmona, Rassegna internazionale d’Arte contemporanea)

Fabrizia Buzio Negri, recensione monografia

Fabrizia Buzio Negri, recensione monografia

Se l’eterno ritorno è il fardello più pesante, allora le nostre vite su questo sfondo, possono apparire in tutta la loro meravigliosa leggerezza.” (Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere. Ed Adelphi)

LE STORIE “SOSPESE” NELL’UNIVERSO DELLA LEGGEREZZA
Fabrizia Buzio Negri

Non facile da sostenere, a volte drammatico, a volte incredibile da decifrare. Nel tempo quotidiano siamo coinvolti in quello che Italo Calvino chiamava “il movimentato spettacolo del mondo”. Scrittori e artisti mostrano spesso il cammino della leggerezza, dimensione particolare per osservare le cose del mondo aprendosi a esperienze straordinarie. Calvino si è interrogato sull’argomento nella prima delle sue Lezioni Americane, guardando alla “levità” nell’arte non all’inizio della sua vita di letterato, bensì nella maturità di scrittore. “Dopo quarant’anni che scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora che io cerchi una definizione complessiva per il mio lavoro; proporrei questa: la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto, ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”. Con uno dei suoi primi scritti a fianco delle opere pittoriche, Martina Goetze Vinci mi colpì nella percezione sensoriale di voler acquisire uno stato di levità, al di là delle difficoltà insite nelle esperienze umane. La risposta è la via dell’arte, attraverso cui intende “risvegliare il sorriso interiore e far sì che la nostra prima energia si liberi sulla via dell’Anima Universale”. Nessuna grande rivoluzione: nella specificità del suo linguaggio Martina cerca la “leggerezza” nell’immagine che si muove liberamente dal proprio contesto per spostarsi in un NON-LUOGO. Un vissuto differente, un “essere altrove” che l’arte sancisce. Senza voler qui indagare l’argomento tra filosofia e antropologia, per l’artista la ricerca del “luogo” si risolve nel valutare le molteplici distanze tra lei e il mondo reale, mentre interpreta i misteriosi riferimenti della vita in un non-luogo dal colore della surrealtà. La pittura sembra non avere più peso. Ha connotazioni e significati di alchimie “distanti” dai precedenti storici lavori, cromaticamente esasperati nello spessore del collage. Ora lo spazio rarefatto tra anima e corporeità, nel fluttuare di sottili energie segrete, può anche negare la realtà quando si dipinge con l’intensità di infinite dispersioni cromatiche. In questo suo non-luogo, le ipotesi d’arte sembrano finire e, al tempo stesso, ricominciare, in transiti fluidi e sfide percettive, con sentimenti perturbanti e immaginazioni di vissuto, senza mai arrivare allo zero, per ripartire immediatamente l’una dopo l’altra. Nel “prima” e nel “dopo”, l’immagine lascia aperte nuove ipotesi nel favorire inedite esperienze sensoriali ed estetiche. Martina stessa dice: “L’ispirazione per le mie opere viene spesso da un ossimoro. L’accostamento di concetti apparentemente contrastanti e in antitesi tra loro mi affascina perché mi spinge a superare un limite e ad aprirmi a nuove emozioni.” L’artista ha un’anima da “cittadina del mondo”. Ha vissuto in Paesi al di là dell’oceano, prima di approdare in Italia. Sembra voler verificare il pensiero: “La nostra vera nazionalità è l'umanità.” Così è il suo sentire. Così forse si è sentita, come tanti di noi, lei tedesca di Amburgo, alla caduta del muro di Berlino in quel novembre del 1989. Una demarcazione, questa, diventata una rivoluzione nella Storia dei popoli. Un cambiamento radicale nella cultura: è l’inizio di una spiccata globalizzazione nel mondo dell’arte. In diversità e modi, assolutamente open, in confronti trasversalmente molto amplificati. In una proiezione ideale unitaria di nuove collettività e identità, tra culture differenti transitate attraverso l’utopia di un grande mondo libero. Era trent’anni fa. Per Martina Goetze Vinci, prendono avvio anni di lungo lavoro di studi e sperimentazioni, in un percorso sempre e ancora dichiaratamente “in divenire”. Una progettualità in grado di captare le mutazioni di una materia che dalla superficie pittorica si muove verso la tridimensionalità. La frequentazione dell'atelier di Wolfgang Krenckel e la Scuola degli Artefici a Brera la inducono a definire ben presto le proprie affinità in un’indagine personale, accurata e dinamica nei temi e nelle tecniche. Tra le esperienze formative che hanno affascinato Martina agli esordi della sua carriera rientra l’arte del collage. Si sa che questa tecnica vanta origini antichissime; fu sdoganata ai primi del ‘900 dai più celebrati pittori del Cubismo, Braque e Picasso, con i famosi “papiers collés”, alla ricerca di procedimenti originali in grado di rendere una più specifica espressività, in alternativa alla tradizionale pittura. “Sybilla” è un lavoro particolarmente riuscito di quel periodo sperimentale: con una orchestrazione imprevedibile tra tecnica mista e collage, una luce intensa entra nello scatto creativo tra la figura femminile e le pieghe di una elaborazione volumetrica propria del collage. Colori ad olio, gesso, veline, giornali, collanti, frammenti di altri materiali sono utilizzati sapientemente in mutamenti di disegno, inafferrabili piegature, addensamenti cromatici d’effetto. Grande vigoria tridimensionale è da cogliere in altre opere, come “Acqua”, creata per la mostra EXPO 2015 a Milano /Palazzo Renzo Piano o nella complessità di “Enigma”. Non è facile catturare i passaggi di linguaggio dell’artista, per arrivare alla sensualità di una materia, via via sempre più alleggerita, in un aspetto tattile lieve, quasi una depurazione progressiva di una interiore emozionalità artistica sopravvenuta. In un gioco di magie interiori, si definiscono segnali di trasformazioni approfondite e conquistate prima nel pensiero e poi trasferite sulla tela. Si tracciano nuove proiezioni estetiche, si disciolgono grumi e tensioni in forme legate a nuove percezioni materiche, tra fantasie e sogni, in tessiture immateriali di luce. L’immagine si sottrae (quasi una fuga dal contesto reale) per presentarsi in un “altrove”. La figurazione ricompare entro una visionarietà cromatica molto luminosa, in uno spazio/tempo sfuggente, fluttuante allusività di libertà nel gesto e nell’anima. Come in un sogno. Sovviene l’incipit della poesia di Jorge Luis Borges: “El sueño” Cuando los relojes de la media noche prodiguen un tiempo generoso, iré más lejos que los bogavantes de Ulises a la región del sueño, inaccesible a la memoria humana…. Il sogno Quando gli orologi della mezzanotte elargiranno un tempo generoso, andrò più lontano dei rematori di Ulisse nella regione del sogno, inaccessibile alla memoria umana…. Nel lavoro pittorico di Martina Goetze Vinci sembra di ripercorrere all’infinito una sorta di “Aleph”, la via indicata da Borges, punto di inizio verso cui tutte le cose fanno ritorno e a cui tutte le cose tendono nella circolarità dell’Universo. Misteriosi i riferimenti esistenziali, per Martina, quando dipinge figure femminili e maschili. Vertigini oniriche. Dualismi tra corpo e spirito. Attese antiche e nuove. Il richiamo a Borges può continuare. L’imminenza di una rivelazione, così nel 1950 lo scrittore-poeta argentino definiva il fatto estetico. “La musica, gli stati di felicità, la mitologia, i volti scolpiti dal tempo, certi crepuscoli e certi luoghi, vogliono dirci qualcosa, o qualcosa dissero che non avremmo dovuto perdere, o stanno per dire qualcosa; quest’imminenza di una rivelazione, che non si produce è, forse, il fatto estetico.” (La muraglia e i libri, in Altre inquisizioni, cit., pp. 909-910) Fa da esempio una tela iconica come “La Fenice” o come la serie delle danzatrici tribali. Enigmatica è l’interpretazione di una femminilità forte, disinibita, solitaria espressione di una attraente fisicità: nell’immediatezza del suo linguaggio artistico la voce di Martina ha riscontrato l’interesse di un pubblico vario e attento nel multiforme scenario artistico attuale. Si accentua nelle opere più recenti la fisionomia cromatica sull’impiego prevalente dei colori complementari con sottolineature di contrasti tonali. Il fluire del segno più scuro sul bianco degli sfondi sa rendere “leggera” la narrazione d’insieme. Perché il bianco, candido e lieve, contiene tutti i colori dello spettro e li apre come un fuoco d’artificio, insinuando il calore dell’eros. Si susseguono le mostre che l’hanno vista protagonista a Milano (“Human Landscapes”) a Roma (“Roma Margutta”con la factory Officina Lombarda) e ancora a Parigi e a Miami, per citarne alcune. Sempre nuove le riflessioni sull’immagine donna in dinamismi dai felici esiti che, intersecando talora l’appassionante tematica della “coppia”, parlano dell’Amore. Dalla passione incarnata in un ballo dall’evidenza sensuale come il “Tango” agli Abbracci“ misteriosi e fortemente erotici: il tutto controcorrente, in un tempo dichiaratamente senza poesia e ostile all’amore (almeno così scrivono i letterati sapienti dell’oggi). Per Martina, no. L’afflato è intenso, è la freccia al cuore. Come l’amore per Alda Merini: l’essenza vera della sua poesia e della sua vita. L’amore drammatico, svincolato dagli schemi, anche in sensazioni di colpa. Ma è l’Amore. Sempre. Ieri sera era amore, io e te nella vita fuggitivi e fuggiaschi con un bacio e una bocca come in un quadro astratto… Alda Merini – da “Ieri sera era amore” E l’ombra fredda dell’eclissi, come per Mario Luzi, quando l’amore viene a mancare. Non andartene, non lasciare l’eclisse di te nella mia stanza… Mario Luzi – da “Non andartene” Così procede inesorabile, senza pause, il corso della sperimentazione artistica di Martina Goetze Vinci. Nella sua maturazione di donna attraverso l’arte. E di artista, attraverso la sua vita di donna nel presente. In ogni opera affiora un enigma narrativo sorprendente, non riconducibile a formulazioni concettuali: sono inquietanti tracciati di un vissuto che diventa forza evocativa dell’immaginazione, pronta a ricreare incontrollate connessioni fantastiche. Ossimoriche nelle contrapposizioni e, insieme, complementari nella temporalità immaginaria, proiettata all’infinito. Talvolta provocatoria nei contenuti che discendono da esperienze personali, psichiche ed emozionali, correlate. Martina possiede contesti culturali propri, per sorreggere con fermezza regole linguistiche espressive di segni, metafore e simboli. Dai traguardi raggiunti, al punto di partenza per future diramazioni artistiche. Pittura, ancora. Forse la scultura, chissà. Un modello individuato dentro se stessa con una coerenza significante, liricamente incisivo e intellettualmente chiaro nelle forme e nei contenuti. F.B.N.